Mario il macellaio

La notte era un turbine in festa di luci di ogni intensità, e ombre spesse e impenetrabili. Le auto si muovevano lentamente, proiettando coni di luce solida dai fari che squarciavano la notte e il buio che voleva inghiottirle.

La ragazza entrò di corsa dal macellaio; questi protestò, dichiarando che stava per chiuder bottega: era un puntiforme intenso venerdì di un inverno piovoso in un piccolo borgo della provincia di Roma. Lei insisté, sembrava disperata, È l’unico macellaio che ho trovato aperto, la prego, vengo da un turno lungo all’ospedale, ho gente a cena; e lui, intenerito, iniziò un lungo sospiro, poi, sentendosi villano, lo interruppe e, sorridendo, tornò dietro al bancone, chiedendole come potesse servirla.

Lasciando il negozio, sembrava una ragazza radiosa; stanca, certo; ma felice. Mario cercò d’immaginarsi le persone che frequentava, e che avevano la fortuna di passare la serata con lei, rilassandosi, o cantando dopo cena, i bicchieri di vino tinnando l’uno contro l’altro. Abbassò la serranda del negozio, e finì il sospirone ch’ebbe cominciato prima, e che aveva strozzato sul nascere.

Camminò verso piazza Italia, voltando a destra e prendendo la larga strada che la collegava al sagrato della chiesa di San Giuseppe. Tenne l’ombrello chiuso, perché la pioggerellina fredda gli schiariva la mente; e d’altra parte, gli piaceva guardare i passanti, la bella gente che camminava verso le cose belle che avevano da fare. Di fianco alla chiesa si apriva una corte, con qualche macchina parcheggiata all’addiaccio, sopportando paziente la pioggia insolente contro la carrozzeria aristocratica. Un portone, coperto da un piccolo tettuccio, offriva protezione ad un ragazzo senza casa. Mario lo guardò, con un misto di paura e tristezza nello sguardo, poi estrasse dalla tasca sinistra una chiave, la fece entrare in una serratura, fino a udirla schioccare nella notte silente. Spinse la porta, entrò, e se la richiuse alle spalle.

Le scale conducevano al terzo piano, dove aveva un piccolo appartamento. La madre, malata, dormiva in camera sua. Aveva lasciato la TV accesa. Un bambino giocava su una spiaggia sotto lo sguardo amorevole di una bella ragazza, probabilmente la madre, o la sorella maggiore. Anche a Mario sarebbe piaciuto avere una famiglia, ma non ne aveva avuto la possibilità. Il padre morì in un incidente quando era un ragazzino; gestiva, insieme a sua madre, la piccola macelleria che serviva le poche famiglie che ancora abitavano in quel posto che la storia ignorava e avrebbe continuato a ignorare. Molti si erano spostati in città, per cercare lavoro o per cambiare vita, stanchi di sentirsi isolati dal mondo, sentendo che potevano farne parte solo a patto di spostarsi dove la coscienza collettiva contava un numero di anime superiore, dove tutto era più rumoroso, credendo che gli eventi e le vite si scrivessero intensamente e pienamente solo urlando e muovendosi continuamente e rapidamente.

Sua madre si era ammalata ai polmoni da un anno. Una giovane infermiera se ne prendeva cura durante il giorno, ma alle sette doveva andar via, e Mario chiudeva la macelleria a quell’ora, e il tempo che impiegava per arrivare a casa, non più di una mezz’ora, era il tempo per il quale la povera donna Cristina restava da sola in camera. Questa circostanza lo lasciava sempre con molta apprensione, ma dopo qualche mese vi ci era abituato, e camminava per le strade senza ambage. E quella sera aveva pensato che aiutando quella ragazza avrebbe in qualche modo potuto riconnettersi col mondo e con la vita felice che aveva condotto un tempo, e che si era scordato, a correre appresso alle necessità e alle responsabilità. Anche lui correva, e non c’era neanche bisogno che andasse in città. Era già complicato così. Guardò l’ora: le otto e venti.

Donna Cristina era sdraiata col rosario tra le mani. Lui si avvicinò per sistemarla meglio, o si sarebbe svegliata piena di dolori il giorno dopo. Non accese la luce per non svegliarla di soprassalto, e d’altra parte, la luce della TV illuminava la camera a sufficienza. Prese il telecomando e tirò via il volume. Si girò verso la donna, e notò qualcosa di scuro sul lenzuolo candido. Si avvicinò. Sembrava sangue. Terrorizzato, tentò di scuotere la madre. Non respirava.